La Sagra: tra fede, tradizione e folklore
Nella storia delle tradizioni sarde ricoprono particolare importanza le sagre religiose
che rappresentavano non solo un momento di culto, ma soprattutto un momento di aggregazione sociale;
d’altra parte, andando indietro nella storia della nostra isola,
non possiamo dimenticare la struttura dei villaggi siti presso i luoghi di culto
(pozzi sacri e tempietti) che prevedevano capanne per le riunioni e i ricoveri degli animali.
Nella nostra regione ancora oggi troviamo accanto alle chiese campestri
delle singolari costruzioni che spesso delimitano il sagrato o,
in ogni caso, uno spazio dove, ieri come oggi, si riuniva la folla convenuta
ad onorare il santo, a scambiare le proprie merci e ad assistere a
corse equestri o sfide di altro genere.
I pellegrini erano disposti ad affrontare lunghi viaggi sulle loro
“traccas” per poi trovare riposo proprio
nelle architetture annesse al santuario: “is cumbessias” o “is muristenes”.
La presenza di tali situazioni abitative viene rilevata infatti in tutti i santuari
campestri dell’Isola e per quanto riguarda la zona centrale si possono citare
i santuari di : San Sebastiano a Teti, ancora in uso, di San Pietro a Ovodda,
di Sant’Antonio ad Austis, dei s.s. Martiri in Fonni e di San Mauro nel territorio di Sorgono.
Il santuario intitolato a San Mauro viene tuttora aperto per i noveranti tre volte l’anno:
- - a metà gennaio per invocare Santu Maru de is dolos
(per la guarigione dei dolori reumatici);
- - il Lunedì dopo la Pasqua, Santu Maru de flores (cioè per la primavera);
- - alla fine di Maggio per l’antica celebrazione di Santu Maru erriccu (per la ricca produzione agropastorale del periodo).
Il periodo che riscontra maggiore afflusso di noveranti provenienti da diverse
zone dell’isola si ha in maggio, mentre durante gli altri periodi
i noveranti sono per la maggior parte abitanti della zona.
In antichità le donne della zona, prima de Santu Maru erriccu,
facevano la novena andando a piedi fino alla chiesa campestre, per nove giorni
di seguito e li, pregando,
facevano il giro della chiesa in ginocchio.
I giorni della festa erano in tutto sei:
tre giorni dedicati alla fiera dei buoi e tre a quella dei cavalli.
Le persone provenivano da tutti i paesi delle vicinanze e anche da molto
lontano; indossavano il costume tradizionale, spesso percorrevano chilometri e chilometri a piedi
o arrivavano dentro carri pieni di fiori e trainati da due buoi (le cosiddette
traccas).
Il giorno della festa, dopo una processione intorno alla Chiesa,
si entrava all’interno e si iniziava cantando le preghiere e i
goccios
(poesie musicate dedicate al Santo).
Seguiva la predica del prete, il rosario cantato, ed infine una preghiera che ogni fedele
faceva di fronte alla statua.
Dopo la Messa, le persone che avevano qualche malattia ad un braccio,
ad una gamba o alla testa, appoggiavano la propria parte malata ad una corrispondente
finta, fatta di legno o formaggio fresco, e pregando, ne aspettavano
la guarigione; altri invece pagavano per avere una fettuccina benedetta da portare poi al polso.
Seguiva poi il pranzo, portato da casa o, spesso, arrostito sul posto.
Il profumo del pesce aleggiava nella zona insieme a quello dei dolci
e del torrone, ed intorno i cavalieri si preparavano per le pariglie.
Di sera gli uomini giocavano a
sa murra, cantavano poesie ed accendevano i falò.
La venerazione per San Mauro è diffusa in tutta la Sardegna e
sono assai note le lodi dialettali a lui dedicate, dovute al sacerdote di Ardauli
Giovanni Battista Meleddu e pubblicate la prima volta a Cagliari nel 1800.
Oggi questa ricorrenza è mutata notevolmente e pur conservando
per intero l’aspetto tradizionale religioso,
non viene più riconosciuta come “fiera”, ma veste i panni della Sagra.
Tanti artigiani locali espongono i propri prodotti e ogni anno
una grande affluenza di pubblico mostra l’importanza che
riveste la Sagra di San Mauro nella Barbagia-Mandrolisai.
Testi a cura di Andrea Murru